Indice
Per capire al meglio i mercati finanziari, tuttavia, è necessario avere una chiara visione di strumenti e concetti fondamentali della macroeconomia, andando ad analizzare le fasi economiche che, inevitabilmente, hanno segnato l’approccio alla finanza, dal 2009 ad oggi.
Mercati finanziari e politica monetaria
Il 2009 con la grande crisi finanziaria globale scaturita dai mutui subprime negli Stati Uniti è stato teatro di uno dei più grandi cambiamenti del mondo della finanza. A seguito di questo evento la Federal Reserve Bank (la Banca Centrale Statunitense), la Banca Centrale Europea e le altre banche centrali delle maggiori economie sviluppate dal 2012 hanno iniettato fiumi di liquidità nei mercati tagliato i tassi d’interesse (costo del denaro) con l’obiettivo di sostenere l’economia reale. Queste politiche monetarie accomodanti hanno portato a rendimenti obbligazionari vicini allo zero e in molti casi negativi, incentivando quindi gli investitori a prendere maggiore rischio per la ricerca di rendimento supportando la crescita dei valori azionari globali ed abbassandone la volatilità.
La linea verticale nera indica il 26 luglio 2012, data dell’intervento di Mario Draghi, Presidente della BCE, alla Global Investment Conference di Londra con la famosa citazione “whatever it takes” per annunciare che la Banca Centrale Europea era disposta a qualsiasi cosa pur di difendere la moneta unica e scoraggiando di fatto gli speculatori che scommettevano contro la sua fine. *
È stato il principio che ha guidato la politica monetaria fino all’avvento della pandemia di Covid-19 che ha dato il via ad una serie di problematiche. Una combinazione di fattori, tra cui l’accelerazione della domanda globale post Covid-19, le tensioni nelle catene di approvvigionamento globali e l’aumento dei prezzi delle risorse energetiche – non solo legate alla crisi russo-ucraina – ha influenzato diversi sistemi economici, riportando l’inflazione al centro dell’attenzione, prima come oggetto di dibattito e successivamente come motivo di preoccupazione.
La politica monetaria dopo il ritorno dell’inflazione
La Fed, non solo è intervenuta prima, ma anche in modo più massiccio, ha aumentato il tasso dei fondi federali in risposta all’inasprimento delle pressioni inflazionistiche, portandolo a livelli più alti rispetto a quelli della BCE.
L’Istituto di Francoforte, invece, ha adottato un approccio più cauto, attendendo più a lungo prima di aumentare i tassi di interesse e mantenendo il tasso di rifinanziamento a livelli inferiori rispetto a quelli della Fed.
Fig. 1: Tasso di inflazione US e Unione Monetaria Europea (EMU) – 2020-2023
Fonte: FRED, Federal Reserve Economic Data e BCE
“Nella figura 1 è riportata l’inflazione per Stati Uniti e Unione Monetaria Europea per il periodo 2019-2023. L’inflazione si ripresenta prepotentemente prima negli Stati Uniti e poi in Europa, modificando la visione di medio e lungo periodo delle banche centrali”. **
Fig. 2: US Federal Funds Rate e Tasso di Rifinanziamento (MRO) 2020-2023
Fonte: FRED, Federal Reserve Economic Data e BCE
“La figura 2 mostra l’andamento di due strumenti di politica monetaria usati rispettivamente da FED e BCE: il federal funds rate e il tasso di rifinanziamento.
È chiaro come la FED sia intervenuta prima e in modo più aggressivo della BCE per cercare di frenare un tasso di inflazione che volava verso le due cifre”. **
Un minor intervento delle Banche Centrali per una maggiore volatilità
Analizzando la situazione attuale, caratterizzata da un’elevata liquidità sul mercato e da un alto livello di indebitamento, eventuali aumenti dei tassi d’interesse superiori alle aspettative potrebbero avere conseguenze significative. Questo perché, dopo un lungo periodo di tassi d’interesse bassi, molti investitori hanno assunto posizioni che dipendono proprio dai costi di finanziamento contenuti. Se i tassi d’interesse dovessero aumentare più del previsto, potrebbero verificarsi due effetti:
- l’aumento della volatilità dei mercati: gli investitori potrebbero reagire in modo nervoso agli aumenti dei tassi d’interesse, causando fluttuazioni significative nei prezzi degli asset finanziari. Ciò potrebbe portare a una maggiore volatilità sui mercati azionari e obbligazionari.
- il rischio di recessione: nel caso in cui gli aumenti dei tassi d’interesse avessero un impatto significativo sull’indebitamento delle imprese e delle famiglie, potrebbero verificarsi difficoltà nel rimborso dei prestiti. Ciò potrebbe portare a una contrazione della spesa e degli investimenti, mettendo a rischio la crescita economica e aumentando il rischio di una recessione prolungata.
I clienti ricercano rendimento e protezione di volatilità
Alla luce di quanto analizzato, appare chiaro perché gli strumenti a capitale protetto, in questo momento, siano tra le soluzioni preferite dagli investitori, in quanto offrono la possibilità di beneficiare delle potenziali performance positive del mercato azionario, proteggendo al contempo il capitale investito da eventuali ribassi.
Il livello di protezione viene stabilito al momento dell’emissione del prodotto e può essere totale, ovvero il 100%, ma anche parziale, definito al 90%, all’80% o anche inferiore. Questo significa che, in caso di ribasso al di sotto della soglia di protezione, l’investitore riceverà comunque un importo di liquidazione a scadenza non inferiore al livello di protezione specificato.
In sostanza, gli strumenti a capitale protetto offrono una sorta di “rete di sicurezza” per gli investitori, consentendo loro di partecipare ai potenziali guadagni del mercato azionario senza correre il rischio di perdere il capitale iniziale investito. Questa principale caratteristica, li rende particolarmente attraenti per coloro che desiderano bilanciare il desiderio di rendimento con la necessità di proteggere il proprio patrimonio dagli imprevisti del mercato.
*Fonte https://www.bis.org/publ/arpdf/ar2014_2_it.pdf
**Fonte https://sanomaitalia.it/aree-disciplinari/azienda-diritto-professioni/la-politica-monetaria-dopo-il-ritorno-dell-inflazione
Pubblicato il 25 Marzo 2024